LOS ANGELES – «Un genio visionario e un artigiano umilissimo, di fenomenale spirito di collaborazione. Con Carlo Rambaldi muore non solo il padre di E.T., ma anche il padre di quella che oggi chiamiamo animatronica. Con lui muore la grande tradizione artigianale del fare cinema. A parlare è Steven Spielberg, il regista che con Rambaldi ha avuto un lungo rapporto, umano e professionale.
«Carlo – racconta il regista – collaborò con me per la prima volta per Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977, ndr)». Spielberg spiega anche da quale intuizione nacquero le creazioni di Rambaldi: «Per gli alieni filiformi e dal capoccione grosso che vediamo alla fine del film si era ispirato alle foto di Roswell della presunta autopsia all’extraterrestre, su cui ridevamo sempre sopra. Poi innumerevoli film di fantascienza a venire avrebbero copiato la sua idea ogni volta che mostravano un alieno».
Ma il vero capolavoro di Rambaldi, quello che tutti ricordano come il primo, vero estraterrestre dal volto umano, fu E.T. «Per E.T. – dice ancora il regista – Carlo ebbe la pazienza di produrre dozzine di provini in creta, fino ad escogitare al pupazzo robotico finale, il vecchietto bambino per i cui occhi Carlo si era ispirato al suo bellissimo gatto himalayano».
Spielberg descrive Rambaldi come «una persona disponibilissima, il massimo della collaborazione essenziale nel cinema». «Piango – conclude il regista – un carissimo amico e un’anima gentile».
All’epoca, ricorda qualcuno, Spielberg scelse Rambaldi perché lo riteneva un autentico artista, un uomo geniale con la fantasia tipica di molti italiani e una capacità artigianale sconosciuta a molti italiani. La scelta si rivelò oculata, poiché valse al film E.T. il premio Oscar e uno straordinario successo di cassetta in tutto il mondo.